Back in black by Brian Johnson

Back in black by Brian Johnson

autore:Brian Johnson [Johnson, Brian]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2022-10-04T12:00:00+00:00


La svolta, che fece saltare di gioia come un bambino troppo cresciuto anche Vic, arrivò un giorno quando, di nuovo a bordo del Transit per andare a un concerto, eravamo fermi in attesa di attraversare il Severn Bridge.

Era la metà di settembre del 1972 e stava per essere pubblicato il nostro primo singolo, Don’t Do That.

Avevamo già registrato un intero album di materiale valido ai Pye Studios di Marble Arch e ai Lansdowne Studios di Holland Park, compresa la nostra versione della canzone conosciuta grazie a Harry Blair, “Geordie’s Lost His Liggie”. Ci aveva fatto da produttore Ellis, insieme a un ragazzo italiano fantastico che si chiamava Roberto Danova – lunghi capelli neri e grandi baffi neri, su di lui tutto sembrava stare a pennello. (Aveva lavorato molto con Tom Jones, e non si faceva fatica a credergli.)b L’album, che sarebbe stato pubblicato all’inizio dell’anno successivo, si sarebbe intitolato Hope You Like It – la copertina dell’lp era stata studiata in modo da sembrare un regalo incartato con tanto di nastro, fiocco e bigliettino d’auguri, su cui c’era scritto il titolo dell’album. Un po’ scontato, certo, ma la Red Bus voleva venderci come un gruppo rock irriverente e amante del divertimento, per attirare le fasce più giovani degli adolescenti.

“Don’t Do That” riassumeva alla perfezione questa nostra indole. Si trattava di un brano hardrock scalpitante, accompagnato da cori urlanti e battimani della band, e con un break in stile country nel mezzo che faceva: «Grab your partner by the hand / C’mon down to Geordie land / Everybody have a go / Get your Brown Ale and do-si-do». Sul lato B di Don’t Do That era stato inciso “Francis Was a Rocker”, un pezzo più heavy ed essenziale giocato su un riff di Vic.

Dunque eravamo lì sul furgone, bloccati nel traffico del Severn Bridge e, come al solito, stavamo ascoltando Radio One. Credo fosse un venerdì pomeriggio e in onda c’era Noel Edmonds, che all’epoca dedicava una parte del suo programma a presentare una selezione di nuovi singoli che lui giudicava validi, ma che non erano ancora stati pubblicati. Spesso bastava la sua segnalazione perché il pezzo in questione entrasse nella Top 40 della settimana successiva.

«Il prossimo brano che vi farò ascoltare arriva da una nuova band di Newcastle e devo ammettere che mi diverte parecchio» disse Noel. Non potevamo credere alle nostre orecchie.

Esisteva un’altra band di Newcastle che noi non conoscevamo? Oppure stava davvero parlando di noi?

«Se con questo pezzo non vi viene da battere il tempo col piede, non siete vivi» continuò Noel. «Ecco a voi i Geordie!»

Ci mettemmo a urlare talmente forte che quasi non sentimmo il resto. Era semplicemente... Voglio dire, come faccio a descrivere al meglio l’emozione di venir trasmessi da Radio One nel 1972? Mi venne quasi da piangere. Anzi, vi dico la verità: stavamo tutti piangendo. Ce l’avevamo fatta, cazzo.

Chiunque là fuori si sarà chiesto cosa diavolo stesse succedendo a questi quattro ragazzi che esultavano e strillavano e saltavano talmente tanto da far tremare le sospensioni del furgone.



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